Da topic centered a self centered
Lo sviluppo dei social media è sintomo di un inviluppo sociale, oppure è solo questione di prospettive?
Salve, io sono Alessandro “Morloi” Grazioli e questa è Ex-perimentia, il diario di un vecchio brontolone che guarda l’internet ed il mondo da un oblò.
La pausa è stata un po’ più lunga, settembre, il vero capodanno italiano, è cominciato, il Covid è ancora qua e l’inverno sarà una incognita, again.
Durante questa pausa, prima di fare un po’ di digital detox, che sta sempre bene, ho preso la decisione di chiudere una roba lasciata a metà 25 anni fa o giù di lì: mi sono riscritto all’università e ricomincio a studiare.
Perché? Boh, per tanti motivi e nessuno, probabilmente fa anche parte della crisi di mezza età. Di certo l’ho fatto anche perché, nell’ordine, per
recuperare il mio cv universitario
partecipare ad un concorso per titoli per l’iscrizione ad anni successivi al primo
iscrivermi al corso
attivare la mail universitaria e gli strumenti collegati
contattare segreteria per finalizzare il riconoscimento dei crediti
contattare la prof per anticipare il primo esame e ricevere ragguagli (e slide)
ho dovuto usare semplicemente lo spid e l’account email universitario, senza muovere il culo dalla mia comoda sedia. Poi uno dice l’Internet.
Ma torniamo a noi. Oggi ho voglia di ragionare, assieme a voi, su uno dei temi di cui si discute dall’avvento dei primi social: è vero che l’uso - e abuso - dei moderni strumenti di socializzazione digitale è primariamente egoriferito?
I social sono semplicemente uno specchio delle vanità, oppure rappresentano ancora il disperato e umano tentativo di condividere una parte di se stessi per ritrovarla negli altri e sentirsi meno soli?
Badate, non sarà in alcun modo un “ehhh, quanto si stava meglio, quando si stava peggio”, piuttosto il tentativo di capire se sia così vero lo spostamento in chiave egocentrica tante volte attribuito ai social.
A fondo newsletter, per chi ancora non l’avesse capito, musica e GdR/boardgame.
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Ci siamo? Si parte!
Cosa si fa e cosa si faceva sull’internet
Chi mi segue da un po’ sa che il mio punto di vista è sempre quello di un appartenente alla Generazione X che ha conosciuto l’avvento sia di Internet, sia della telefonia mobile.
All’epoca del primo boom, in Italia, attorno alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso, ci si sperticava con amici e conoscenti a descrivere con parole roboanti il mondo prossimo venturo: grazie alla rete sarebbe stato possibile visitare i musei senza spostarsi (ad inizio 2000 il Louvre aprì la sua sezione di “visite virtuali”), comprare ogni genere di beni da ovunque nel mondo, informarsi su ogni argomento e - questo è fondamentale - conoscere persone in tutto il mondo che condividessero i nostri stessi interessi.
All’epoca il web era giovane e immaturo, per cui la funzione di aggregazione era delegata a strumenti extra-web, come i newsgroup, le mailing list, i canali Internet Relay Chat, i Mud e i Moo (ambienti di gioco multiutente).
Tutti questi strumenti avevano in comune una cosa: erano topic-centered, ovvero riunivano persone attorno ad argomenti di interesse e discussione.
Esistevano anche canali “generici”, che però fungevano unicamente da recipienti di spam e come momento di familiarizzazione con lo strumento, prima di decidere da che parte girarsi.
Allora come adesso, i modelli di interazione erano due: sincroni e asincrono.
L’interazione sincrona necessità della presenza virtuale contemporanea degli elementi dell’interazione stessa, che avviene in tempo reale: le chat e i mud (in parte) sono il classico esempio di interazione sincrona.
All’epoca la connessione continua era ancora nella maggior parte dei casi una utopia (noi si giocava ai mud dai terminali dell’università, ad esempio), per cui l’interazione asincrona era di gran lunga preferita: si leggeva, si scriveva, si inviava, si aspettava l’eventuale moderazione e pubblicazione, poi gli altri a loro volta leggevano e così via.
Spesso all’epoca la comunicazione asincrona aveva tempi medi di 24 ore almeno per uno scambio completo: un tempo notevolissimo se confrontato a quelli delle piattaforme odierne.
Riunirsi attorno al topic (il topic è legge)
Che fosse un newsgroup, o ancora peggio, una mailing list, lo stimolo fondamentale all’ingresso nella comunità era il Topic, l’argomento di discussione.
Il proprio sé si costruiva attorno alla passione e alla competenza (vera o presunta) dell’argomento; chi entrava in un newsgroup, prima di interagire doveva leggersi le regole del gruppo, che spesso comprendevano una faq, per evitare di sentirsi rivolgere sempre le stesse domande - e costringere gli utenti più esperti a dare sempre le stesse risposte -, oppure, più spesso, a litigare sempre sugli stessi argomenti.
Il fatto che il luogo di ritrovo fosse digitale, non cambiava di fondo le forme di interazione: c’erano i newbie, quelli appena arrivati che venivano tirati su a rispostacce e battute sulla loro ingenuità e incompetenza, c’erano i lurker, che si mettevano in un angolo e non aprivano bocca, ma leggevano tutto, c’erano gli esperti, spesso divisi in tribù, a seconda delle opinioni sugli argomenti più spinosi.
Era un grosso bar, dove potevano scatenarsi flame orribili con centinaia di post, dove troll insaziabili erano capaci di fare uscire il peggio di ognuno e fare andare fuori dai gangheri anche Gandi.
Almeno formalmente però era fondamentale il Topic. Era l’unica legge. Non si poteva andare oltre, non si poteva parlare di altro. Ogni tanto si osava, si metteva il tag [OT], ma erano interazioni spurie.
In tutto questo l’ego aveva un ruolo? Certo che l’aveva ed era fondamentale: l’autoaffermazione di sé stessi come super-esperto della materia - riconosciuto dalla propria tribù di newbie e lurker - rappresentava il motore fondamentale ed il senso stesso dello stare in comunità, almeno per la maggior parte degli utenti “hardcore”.
I newsgroup hanno perso importanza con l’avvento del web e degli strumenti che li hanno sostituiti: i forum. I forum hanno spinto ancora di più sull’acceleratore del topic-centrismo: per partecipare dovevi registrarti, spesso la moderazione era (è) fortissima e certe dinamiche, come l’esperienza degli utenti, hanno trovato una formalizzazione piena, trasformandosi in “stelline”, statistiche, ruolo, etc.
Nei fatti, se prima si accedeva all’alberatura dei newsgroup con un solo strumento, collegandosi ad un solo server (o quasi), la galassia dei forum rappresentava una atomizzazione delle singole comunità, come se l’espansione dell’universo internet corrispondesse al necessario allontanamento dei gruppi topic-centered l’uno dall’altro.
Per l’utente questo significava dover trovare il posto giusto, lurkare, provare ad iscriversi, cambiare idea, trovare un altro sito con un altro forum sugli stessi argomenti, riprovare a iscriversi etc.
All’interno dei forum le dinamiche erano di nuovo più o meno le stesse, e i ruoli altrettanto: però l’accesso alla rete era diventato più semplice e c’era più gente. Dunque era anche più difficile trovare il proprio spazio, la propria tribù, il proprio linguaggio, e anche quando ci si riusciva, l’interazione poi non era mai semplice: internet semplifica in certi contesti l’approccio alle altre persone, ma l’interazione fra umani è complessa tanto dal vivo quanto online. Anzi. Lo è di più perché mancano tanti segnali sottili che nelle interazioni dal vivo sono fondamentali.
Dunque il passaggio naturale, per molti della mia generazione, stanchi del dover mettere a confronto la propria competenza su un argomento con altri altrettanto tronfi e convinti, stanchi di troll fastidiosi e di newbie saccenti, aiutati dall’avvento di piattaforme e cms di semplicissimo utilizzo, è stato naturale l’ulteriore passaggio di atomizzazione: l’avvento dei blog.
La legge del sé assoluto
È all’epoca dei blog che avviene lo spostamento, lento ma inesorabile, dall’interazione topic-centered a quella egoriferita.
Se è vero che il blog, almeno agli albori, spesso è riferito ad un argomento di massima - la moda, le tecnologie, la musica -, nei fatti si rompe un tabù: si parla di sé stessi, delle proprie esperienze, dei propri dubbi, del proprio stile, dei propri amori, delle proprie fragilità.
I blog sono ancora, in parte, comunità: gli utenti hanno la possibilità di commentare, ma la comunità gira attorno all’autore del blog, che è padrone stesso delle interazioni, degli argomenti, della moderazione.
In questo contesto nascono le prime grandi star dell’internet moderno, come Chiara Ferragni, mentre altri si costruiscono credibilità e vita professionale, magari partendo da blog a carattere erotico/ironico.
Internet è diventato uno spazio dove il grande spettacolo è il mettersi in mostra, in una società che nel frattempo mostra i propri limiti di espansione: per la generazione X è tempo di stage infiniti, di cococo, di cocopro, di lavori malpagati o distanti anni luce dalla preparazione scolastica e universitaria.
Se le comunità topic-centered nascono di base in ambienti di per sé già collettivi, come le università, i blog prima ed i social poi nascono da una generazione “cameretta”: trovo esemplare che uno degli album fondamentali di quel periodo sia Play di Moby, l’album “cameretta” per definizione, diventato successo mondiale inaspettatamente.
La blogosfera, l’atomizzazione ultima del concetto di comunità, ha una parabola intensa e veloce, che si incrocia con l’avvento definitivo dei grandi social, preannunciato da alcune “terre di mezzo”, come ad esempio MySpace, che è nel contempo piattaforma di microblogging, strumento di condivisione per gruppi musicali, comunità “social”.
MySpace era una tribù che si riuniva attorno a passioni principalmente musicali, popolata da Emo, Goth, Metalhead et similia, un ambiente strapieno di musica e di terribili gif animate: ma era tutto talmente bello che qualcuno, meno di un anno fa, ha pensato bene di riscriverlo da zero:
Ma questo ultimo tentativo di comunità blandamente topic-centered è stato spazzato via dal successo devastante di Twitter prima e di Facebook poi (non citiamo Friendfeed per non fare male a troppi): l’era dell’espansione dell’universo web era al declino, e utenti e contenuti hanno cominciato a orbitare attorno a questi grandi centri di massa, finendo con l’esserne inghiottiti.
Quando gli algoritmi non esistevano, sui nuovi social si parlava di tutto e le bacheche si riempivano dei contenuti generati da altri utenti, amici, o in alcuni casi, amici di amici, in una tracotante gara a raccontarsi, spesso senza capo ne coda, con frasi brevi, in tempo reale, poi foto, in numero sempre più incredibile, grazie ai nuovi smartphone.
Un diario personale continuo e collettivo, sicuramente a tratti affascinante, ma molto spesso noioso o irritante, fino al punto da spingere i social stessi a ragionare su una cosa molto semplice: gli utenti interagiscono in base ad interessi comuni, per cui bisogna che l’utente veda contenuti che incontrino questi interessi. Insomma, un ritorno al topic.
Il ritorno, necessario, al topic
Questa era la campagna di qualche anno fa di Facebook:
Insomma, non è che l’hanno mandato a dire: prima han costruito le bolle, grazie all’algoritmo, poi hanno scoperto che magari queste bolle riproponevano sempre e comunque le stesse cose.
E a qualcuno è venuto in mente che serviva un metodo per sfuggire ai parenti e trovare “la tua gente”: i gruppi non sono nient’altro che l’ennesima incarnazione dell’interazione sociale basata su topic.
Diciamola tutta: i gruppi non sono perfetti, ma almeno per quanto possa esperire dalla mia bolla, è uno dei pochissimi motivi che tiene molti utenti dentro la piattaforma. Si potrà obiettare che effettivamente la stragrande maggioranza degli utenti in questione è - almeno - Generation X, per cui sostanzialmente cresciuta in un contesto di community topic-centered e abituata a quel tipo di interazione.
Andiamo dunque altrove, prendiamo l’esempio totalmente opposto, TikTok, popolato prevalentemente da Gen-Z (ma non solo): è risaputo che l’algoritmo di TikTok sia fra i più performanti attualmente in circolazione, è veramente incredibile quante poche interazioni - coscienti - servano per profilare gli interessi.
Ma non ci si ferma qui: gli utenti di TikTok hanno cominciato ad usare autonomamente questa capacità per trovarsi, riconoscersi e dividersi in tribù vere e proprie: #witchtok, #horrortok, #cinematok, e anche pruriginosi, come #kinktok sono hashtag che vanno oltre il loro utilizzo originario e denotano una vera e propria necessità di coesione attorno ad un topic.
Poi all’interno di queste “comunità”, labili e fluide, si creano e prolificano trend ad hoc, che diventano il linguaggio comune della comunità, siano gli amanti dell’uncinetto, i cosplayers, gli attivisti lgbt+, o i cospirazionisti: il collante è il topic, altrimenti quel che rimane è davvero il voyerismo da ballettino, che come immaginabile esiste, ma è ormai un puntino nella galassia infinita dei contenuti TikTok.
Insomma, si parte dalla propria cameretta in cerca di qualcuno che ci rispecchi, ci si racconta, ci si mette a nudo, ci si annoia, si torna a lavorare, magari diversamente, magari con più leggerezza, nuovamente su quello che ci unisce alle altre persone, che spesso è qualcosa di tangibile, pratico, condivisibile: una passione, una lotta, un punto di vista sul mondo, un problema.
Dj Morloi consiglia…
Questa volta non è propriamente un consiglio musicale, ma è il video girato dal noto YouTuber e musicista elettronico Hainbach presso il Museo del Synth Marchigiano, alla scoperta di un pezzo di storia della musica elettronica e dell’industria del nostro paese. Da non perdere.
Master Morloi consiglia…
Visto che è appena arrivata al festival di Venezia la nuova edizione cinematografica di Dune (non vedo l’ora di gustarmela), vi do un consiglio che vorrei seguire io stesso, cioè procurarmi la riedizione di uno storico - e ostico - gioco da tavolo su Dune stesso. Un vero capolavoro per appassionati, ad un prezzo umano. Poi dovrete trovare anche qualcuno disposto a passarci qualche pomeriggio.
E con questo è veramente tutto: al solito, se vi è piaciuta, condividete, se no, fatemelo sapere!
A presto, vostro,
Morloi