Le parole che mi inseguono: Algoritmo.
Esistono parole che caratterizzano la nostra vita più di altre. Algoritmo è una di quelle toccatami in sorte.
Salve, io sono Alessandro “Morloi” Grazioli e questa è Ex-perimentia, il diario di un vecchio brontolone che guarda l’internet ed il mondo da un oblò.
Ex-perimentia è un malriuscito gioco di parole che tenta di mettere insieme Experimenta (esperimenti, in latino, ovviamente) e Perimentia (participio presente plurale di Perimens, annientare, distruggere): per quel che so diventa difficile sperimentare qualcosa senza distruggere qualcos’altro.
Oltre a pensieri più o meno articolati sull’internet e sulla sua evoluzione, in questa newsletter (che uscirà con cadenza settimanale, perché se mi do obiettivi troppo laschi poi me la dormo) troverete in chiusura sempre un consiglio musicale (tendenzialmente elettronico) e uno riguardante il mondo del gioco di ruolo e/o del boardgaming. Perché? Semplicemente perché sono due delle cose che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare il mio modo di stare su questo scalcagnato pianeta.
Ah, sì, la newsletter è gratuita, ma il sostegno è gradito.
Bon, le presentazioni sono fatte, iniziamo a ballare.
Algoritmo // costruire gabbie dorate
La parola Algoritmo ha origini lontane, ed è semplicemente la traslitterazione latina del nome di uno dei più grandi matematici mai esistiti, Abū Jaʿfar Muḥammad ibn Mūsā al-Khwārizmī, persiano, vissuto a cavallo fra l’ottavo e il nono secolo.
Questo signore è riconosciuto come uno dei padri dell’algebra moderna (certo, qui in Europa abbiamo imparato a conoscerlo grazie alla traduzione latina del suo trattato L'al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-jabr wa al-muqābala avvenuta solo nel XII secolo, ma sono dettagli), ma dubito che abbia mai pensato, anche solo per un secondo, che, a più di un millennio dalla sua morte, il suo nome, per quanto storpiato, potesse avere ancora un potere e una attualità così estesi.
Se siete informatici, il termine algoritmo l’avete incontrato per la prima volta a scuola, oppure nelle riviste specializzate degli anni 80. All’epoca era roba da nerd, di quelli di una volta, non di quelli fighi di adesso.
Per algoritmo si intende una serie operazioni/istruzioni che definiscono una strategia atta a risolvere una determinata classe di problemi.
Insomma, una roba estremamente utile, che ha di base un potere chiarificatore e salvifico:
“Ho un problema.”
“Eccoti le istruzioni per risolverlo. Se sai leggerle capirai anche la natura intrinseca del tuo problema”.
Curiosamente negli ultimi anni la parola algoritmo ha assunto una popolarità senza precedenti e contemporaneamente è cambiata totalmente la percezione che se ne ha:
Ad oggi “algoritmo” è quella black box, tendenzialmente spaventosa, che ci analizza, ci classifica e decide in maniera misteriosa cosa farci vedere: una sorta di automa capace di costruire gabbie dorate, talmente confortevoli da farci perdere la voglia di uscirne.
Ma la storia degli algoritmi pervasivi dell’epoca web nasce sicuramente dall’ormai famosissimo (e ormai non più così attuale) PageRank di Google.
Quell’algoritmo lì non misurava i nostri comportamenti, ma tramite un processo poi aggiornato più e più volte, era in grado di analizzare le pagine web e capire quanto queste fossero rilevanti e lo faceva tentando di dare un peso a link entranti ed uscenti. In sostanza tentava di dare un peso alle relazioni che un sito intesseva con altri siti.
L’algoritmo funzionava, ed è stato il cardine del successo di Google, un successo tale da bruciare completamente la concorrenza. L’internet stava uscendo dalla sua epoca pionieristica (era il momento della prima grande bolla speculativa) e per la prima volta un pezzo di codice si ammantava di un’aura di mistero, diventando oggetto di speculazioni infinite.
L’Algoritmo (con la A maiuscola) è Potere: il compito fondamentale demandato a questi automatismi è quello di raccogliere, catalogare e usare quantità immense di dati.
Per la prima volta nella storia siamo di fronte ad alcune entità private che hanno gli strumenti e la capacità per analizzare, sistematizzare, usare quantità di dati enormi, sfruttandoli per i loro scopi di business.
Attenzione: la gestione dei dati, soprattutto quelli personali, fino ad oggi era di appannaggio dei governi, della polizia, delle istituzioni. Questo spostamento è chiaramente figlio del percorso ultra-liberista occidentale (in Cina le cose vanno molto diversamente, non meglio, diversamente) e in gran parte è andato ben oltre alle già cupe previsioni della letteratura Cyberpunk anni ottanta.
Dopo Google ed il suo PageRank, si è tornati a parlare di algoritmi con la seconda ondata dei Social. Facebook ad un certo punto ha cominciato a capire che fornire agli utenti tutti i contenuti condivisi dalla propria cerchia di amici e dalle pagine seguite non era efficace per i propri scopi di business.
In particolare, per quel che ci interessa in questa cavalcata un po’ tumultuosa di fatti e idee confuse, qualcuno ha sicuramente fatto notare che quando entro in una stanza con un sacco di conoscenti, molto spesso mi limiterò a parlare solo con quelli che trovo in sintonia con le mie idee, riservando un distratto saluto a quelli che non sopporto più di tanto: così - per semplificarla molto - è nato l’algoritmo della bolla di Facebook.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una scatola misteriosa (di cui però non è poi così difficile intuire il funzionamento di massima) che registra le interazioni che ho con il materiale prodotto da altri e in relazione a questo mi propone notizie, post - e advertising - che un sistema esperto ritiene affini alle mie desunte preferenze.
Fior di sociologi e studiosi sicuramente più titolati di me hanno analizzato ormai a fondo cosa questo comporti in termini di percezione del mondo da parte di un frequentatore assiduo dei social: siamo di fronte ad un sistema che tenderà sempre di più a cullarci, dandoci la sensazione di essere al centro di un universo fatto a nostra immagine, nei gusti, nel registro linguistico, nelle rabbie e nei rant.
Qualsiasi scossone potrebbe portarci fuori rotta, farci venire la voglia di uscire dal flusso e questo, ovviamente è male.
TikTok ha estremizzato questo aspetto: il suo algoritmo è in grado di cogliere e catalogare interazioni al limite del percepibile e del conscio (1 secondo in più di visualizzazione, il pollice che indugia prima di passare allo swipe), riuscendo a imprigionare gli utenti in una sorta di gorgo nero fatto di Lolite Hentai, rane, prestigiatori, animali buffi, italiani che si indignano per la pizza con l’ananas, etc.
Quindi il mondo è destinato a perire in malo modo a causa degli algoritmi?
Beh, no. Cioè sì, ma lasciate che provi a spiegarvi.
Scardinare l’algoritmo?
Partiamo dalla fine, da TikTok: Roberto Kzk Laghi, amico da sempre e compagno di chiacchierate infinite, mi ha passato proprio qualche giorno fa questo bellissimo articolo che mette in parallelo la strategic ignorance praticata (almeno a parole) da molte aziende digital e la strategic knowledge, praticata dagli stessi utenti delle piattaforme, in particolare teen.
Senza andare nel dettaglio: notando comportamenti definiti “tossici” dell’algoritmo, che in alcuni casi metteva a disagio determinate categorie di persone, dando in pasto i loro contenuti a cluster di TikTokers decisamente di area opposta, scatenando reazioni di vero e proprio linciaggio digitale, alcuni utenti hanno cominciato a parlarne, sulla stessa piattaforma e ad usare i presunti meccanismi dell’algoritmo per scardinarlo.
È un’operazione che in gergo informatico viene chiamata Reverse Engineering, che in buona sostanza non è altro che il naturale istinto umano davanti a qualcosa di ignoto: provare a capirne il funzionamento, stressando le sue funzioni.
Le cose scoperte dagli utenti sono rilevanti e danno indizi notevoli sulle funzioni dell’algoritmo, ma la cosa principale che viene fuori è che l’algoritmo non è semplicemente un automatismo, ma è il frutto di una strategia precisa, in ultima analisi di un pensiero politico.
TikTok, come anche Facebook in misura differente, decidono deliberatamente di creare determinate bolle di utenti, di boicottarne altre, di segregare alcuni utenti in silos quasi impenetrabili o segmentarli in base a caratteristiche morfologiche del volto: scardinare l’algoritmo e far venire a galla i meccanismi e le strategie che lo governano è una forma di resistenza non solo legittima, ma dovuta.
Le vie che possono essere scelte di fronte all’egemonia dei Social Network e degli Algoritmi che li governano sono tre: l’accettazione totale, il rifiuto totale, l’uso consapevole.
L’accettazione totale e il rifiuto totale non comportano alcun tipo di sforzo: sono un dato di fatto e una resa al potere politico del social network espresso tramite l’Algoritmo.
Il fatto di non essere sui social - e di non conoscerne i meccanismi - può ridursi ad essere una semplice medaglia radical chic, da esibire in contesti sociali: aldilà della soddisfazione personale di essere sfuggiti ad un Algoritmo malefico, lasciamo semplicemente che gli altri anneghino, proprio perché percepiti come altri. “Ahhh signora mia i giovani d’oggi”.
Resistenza digitale - scardinare l’Algoritmo conoscendolo - è forse l’unica vera arma che abbiamo per costringere chi detiene il potere e indirizza l’algoritmo a scoprire le carte, oppure abbandonare il campo, consentendo la rinascita di una rete più anarchica e sostenibile. O almeno è la mia speranza.
Dj Morloi consiglia…
Molchat Doma - Sudno
Se bazzicate su TikTok o Instagram Reels l’avete sentita qualche decina di migliaia di volte. Uno dei misteri degli Algoritmi è che ad un certo punto sbarellano (o gli facciamo sbarellare, resistendogli) e tirano fuori una canzone postpunk cantata in russo. I Molchat Doma sono un gruppo contemporaneo, nonostante suonino come i Joy Division russi, nato nel 2017, oggi capaci di fare 27 milioni di visualizzazioni su YouTube con un video che non è un video. Ascoltateli se come me siete rimasti darkettoni dentro.
Master Morloi consiglia…
SIGMATA - This Signal Kills Fascists
Sigmata è un gioco di ruolo cyberpunk ambientato in una America ucronica degli anni ‘80, sotto il giogo di un governo totalitario. I giocatori assumo il ruolo di “ricevitori”, il nucleo della resistenza al regime. Anche se non giocate di ruolo è un manuale da avere, perché parla in maniera ineludibile e chiarissima dei meccanismi politici attuali, a partire dalla necessità della Resistenza e dell’ipocrisia di un certo pensiero progressista che ha rifiutato completamente il valore della lotta. Un gioco che non è un gioco, come tutti i giochi veri.
Edito dalla sempre meritoria MS Edizioni, lo trovate qui.
Bon, siamo arrivati alla fine. Ci rivediamo sabato prossimo. Nel frattempo fate girare questa newsletter se vi è piaciuta. Ma anche se non vi è piaciuta.
Saluti, Morloi